Grazie alla mia Grundig nera con lettore per musicassette, radio e strane maniglie per maneggiarla, un ammasso di plastica e ferro pesante qualche chilo, conobbi tutti i cantautori italiani, sino all’avvento del compact disc. E va bene il compact disc, ma non ho mai più ascoltato musica come in quegli anni, attraverso nastri analogici. Con i tasti rec e play premuti contemporaneamente ci registravo anche qualche pezzo in radio.
Verso il Natale del 1982, la sera, inserivo una cassetta in particolare, bianca, e mi sdraiavo sul letto, prima di cena. L’arca di Noè di Franco Battiato era l’album più mistico che avessi attraversato ascoltando musica pop o rock. Faceva la differenza per me.
Spegnevo la luce, ma dalla porta socchiusa filtrava quella della cucina. Chiudevo allora gli occhi, come fosse difficile mentire per i suoni, anche per il suono articolato e ritmato delle parole, quando fluiscono ispirate che sembrano tessere mondi che si allontanano dalla realtà, quando invece la stanno proteggendo dalla messinscena dello spot. In particolare Radio Varsavia.
Elettronica bilanciata dal pulsare della sezione ritmica e dal calore emanato dalla voce, che aveva un timbro inaudito. La scala, ascendente. Il testo mi portava in parti diverse del tempo e del pianeta. In Abissinia, a Varsavia, in Cina e di ritorno in Occidente. “L’ultimo appello è da dimenticare” una frase che nascondeva ciò che sosteneva e, pure legandosi a una verità storica, valeva anche per comprendere meglio L’arca di Noè.
Inaugurando una fase solo apparentemente simile a quella precedente, per qualche anno Battiato si tenne su una dimensione elettronica e pop, ma più pessimista ed esoterica. I giochi di parole della Voce del padrone rimasero, assumendo altre sfumature di significato, smarrendo via via l’ironia giocosa.
La copertina mostrava una notte stellata lunare e simboli di specie animali da salvare prima della fine. Evocativa, apocalittica. Si poteva dire anche iniziatico quell’album, a patto di rimanere in superficie. Di fatto era l’opposto. Tutto il resto del mondo era iniziatico e L’arca di Noè un invito a recuperare qualcosa che tutti, ma non proprio tutti, si erano dimenticati.
Pensavo che gli Orizzonti perduti e i Mondi lontanissimi fossero per chi volesse entrare nell’età adulta senza rinunciare a ogni cosa. E tutto ciò, non per un riflesso condizionato dal proprio egocentrismo adolescenziale, che trova nel rifiuto l’identità, ma per l’impressione vaga e persistente di avere una buona ragione per conservare alcune delle proprie consapevolezze slegate dal sentire comune.